Un rito antichissimo, ancestrale, cui sono legate generazioni di agricoltori, appassionati ed intenditori, uniti nel celebrare la moderna festa pagana in onore del dio Bacco, in cui la tradizione enologica degli avi si fonde amabilmente con le nuove tecniche e le più aggiornate teorie enologiche: questo è il rito della vendemmia. Svolta in quell’unico periodo dell’anno in cui le giornate iniziano ad accorciarsi e le prime copiose piogge sanciscono la fine dell’estate, essa vede la sveglia del vignaiolo e degli altri operatori molto presto: ai primi raggi del sole, infatti, si raggiunge la vigna e si comincia il lavoro.
La cerimonia della raccolta e del trasporto di uve e grappoli conserva in sé i caratteri del romanzo e della narrazione epica. Del romanzo sono protagonisti coloro che, con la vendemmia, sperano nella buona annata e che i propri sforzi , quel lungo e duro lavoro di potatura e di continua e premurosa cura della vite, non siano vanificati.
Ma la storia del vino in Campania si colora anche di mito e ci riporta indietro, alle antiche rotte lungo il Mediterraneo, ai leggendari avventurieri di Calcide ed Eubea che nel lontano VIII secolo avanti Cristo scelsero le coste della Campania per stabilirsi e iniziare la coltivazione della vite.
La vendemmia del III millennio, in Campania, è un evento che non dimentica questi echi storici e poetici, ma li fonde con un moderno ed efficiente know-how, con procedure innovative, coraggiose e all’avanguardia. Tutto ciò sempre e costantemente all’insegna del rigore e dei sapienti insegnamenti dei propri avi. Sono forse proprio questi saperi, questi antichi insegnamenti, la componente più attraente e suggestiva della vendemmia, quel patrimonio di conoscenze dettato dagli studi scientifici e impreziosito dall’antica esperienza e dai segreti che solo chi vive quotidianamente il contatto con la terra sa apprendere e mettere a frutto.
La giornata più importante per i viticoltori è un vero proprio inno alle percezioni sensoriali. Il profumo dei grappoli appena raccolti inebria, il sapore degli acini maturi al punto giusto addolciscono il palato, le canzoni, le cantilene e le filastrocche del mondo contadino rimandano all’aspetto giocoso e festoso della vendemmia.
Il dotato dei chicchi di falanghina e biancolella, e rossi decisi come Aglianico e piedirosso incantano e sorprendono. Le molteplici varietà cromatiche avvinghiate a viti, che ora si sviluppano in verticale ora sono tenute ad altezza d’uomo, si esaltano in un mosaico che ogni anno regala emozioni differenti e sensazioni inaspettate. Non mancano tuttavia le difficoltà durante i giorni di vendemmia, dovute alla caratteristica dei terreni sui quali viene raccolta l’uva. Spesso si tratta di appezzamenti localizzati in aree remote, di non facile accesso e lontane dalle cantine, luogo in cui è finalizzato il processo di vinificazione. In tal caso si ricorre ad antiche pratiche e scorciatoie, come l’uso di monorotaie (come accade sull’isola d’Ischia o in Costa d’Amalfi) oppure di piccoli gozzi di legno per il trasporto dei tini. Anche questa è parte della poesia della vendemmia.
Finita la raccolta, i giorni successivi sono impegnati per pressare il mosto: la tradizione enologica dei torchi manuali, tanto amati dai più piccini, pronti a saltarvi dentro a piedi nudi e schiacciare a tempo di musica gli acini, sono stati via via sostituiti dai più moderni macchinari meccanici. Il risparmio del tempo, in campagna, è divenuto un imperativo. Ma la vendemmia conserva ancora oggi quella magia che ne fa una festa dove sacro e profano, fede e laicità si fondono nel più evocativo tra i culti bucolici.
La tradizione enologica della Campania
Per la sua storia e tradizione enologica, la Campania può essere da sempre considerata una delle culle dell’enologia mondiale. Da qui provenivano i vini più celebrati dell’epoca, famosi anche di là dalle Alpi e prediletti da imperatori e patrizi.
Pompei, rappresentava, infatti, uno dei porti vinicoli più importanti dell’età classica, un punto nodale della tradizione enologica e commercio enologico internazionale dove erano prodotti e, in seguito, esportati vini d’ogni tipo. La viticoltura in Campania svolge, dunque, un ruolo di primaria importanza sia da un punto di vista storico che economico-sociale. Anche attualmente, benché vi sono altri comparti economicamente più forti, la coltivazione della vite continua ad avere un peso rilevante nell’economia agricola di buona parte del territorio regionale, potendo contare su una grande varietà di uve tipiche, tutte di assoluta qualità.
Tra i vitigni a bacca bianca vanno citati Fiano, Greco, Falanghina, Coda di Volpe e Biancolella, mentre sul versante delle uve rosse prevalgono Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico. Tali vitigni concorrono alla produzione dei vini riconosciuti con le denominazioni di origine tipici della nostra regione, dalle straordinarie qualità organolettiche.
La vite (Vitis vinifera L.) ha trovato, dunque, in Campania condizioni ecologiche diversificate tali da differenziare un ricco e eterogeneo patrimonio ampelografico.
La tradizione enologica delle Campania nel complesso vanta oggi 15 DOC e 4 DOCG (complessivamente n. 19 DOP), oltre a 10 IGP (http://www.agricoltura.regione.campania.it/viticoltura/vini.htm) (Figura 1).
Le DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) campane sono: Taurasi, Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Aglianico del Taburno.
Le DOP/ DOC (Denominazione di Origine Controllata) campane sono: Ischia, Capri, Vesuvio, Cilento, Falerno del Massico, Castel San Lorenzo, Aversa, Penisola Sorrentina, Campi Flegrei, Costa d’Amalfi, Galluccio, Sannio, Irpinia, Casavecchia di Pontelatone, Falanghina del Sannio.
I vini IGP/IGT (Indicazione Geografica Tipica) sono: Colli di Salerno, Dugenta, Epomeo, Paestum, Pompeiano, Roccamonfina, Beneventano, Terre del Volturno, Campania, Catalanesca del Monte Somma. Nell’agro di Benevento si produce la DOC Falanghina del Sannio e la DOCG Aglianico del Taburno, mentre l’Aglianico insieme ad altri vitigni del territorio (Greco, Fiano, Piedirosso…) dà vita alla DOC Sannio.
L’Irpinia è la culla di produzioni vinicole di pregio come la DOCG Taurasi, a base di Aglianico, la DOCG Fiano di Avellino, ottenuto dall’omonimo vitigno, e la DOCG Greco di Tufo. Nella stessa area si produce l’Irpinia DOC, nelle sue diverse tipologie (tra i rossi, oltre all’Aglianico, anche lo Sciascinoso e il Piedirosso; tra i bianchi, oltre al Greco e al Fiano, anche il Coda di volpe e la Falanghina).
La provincia casertana dà invece vita alle DOC Falerno del Massico, Asprinio di Aversa (ottenuto dalle caratteristiche viti che, maritate al pioppo, crescono in verticale), Galluccio e Casavecchia di Pontelatone.
Più a sud, le terre vulcaniche dell’area vesuviana e napoletana, custodiscono i vitigni Piedirosso, Falanghina, Biancolella, Sciascinoso e Forastera, per citarne alcuni. Da questi vitigni vengono prodotti vini DOC quali il Vesuvio (e Lacryma Christi del Vesuvio), la Falanghina dei Campi Flegrei, l’Ischia e il Capri. Proseguendo, il paesaggio diventa sempre più dolce e affascinante, dove il giallo dei limoni si confonde con l’azzurro del mare: è la terra in cui si produce la DOC Penisola Sorrentina con le sottozone Lettere, Gragnano e Sorrento.
Continuando verso sud si giunge in Costiera Amalfitana, dove i vini sono fortemente tipicizzati, derivanti da vitigni autoctoni quali il Fenile, il Ginestra, il Ripolo, il Pepella e il Tintore, unici per la loro complessità aromatica. É l’area della DOC Costa di Amalfi, con le sottozone Furore, Ravello e Tramonti. A sud di Salerno, si giunge infine nel Cilento, dove ha sede l’omonimo parco nazionale riconosciuto come Patrimonio mondiale Unesco, dove si vinificano le DOC Cilento e Castel San Lorenzo. A ciò si aggiunga che, negli ultimi anni, nel corso delle attività di studio svolte dagli enti di ricerca specializzati e dai produttori locali – e anche grazie al lavoro di recupero dell’Assessorato regionale all’Agricoltura -, si è inoltre giunti ad una rivalutazione di numerosi vitigni locali. Tra di essi, è possibile citare: per la provincia di Avellino, il cosiddetto Greco muscio; per la provincia di Benevento, il Moscato di Baselice; per la provincia di Caserta, il Pallagrello bianco, il Pallagrello Nero e il Casavecchia; per la provincia di Napoli, il Caprettone e la Catalanesca; e per la provincia di Salerno, le varietà Fenile, Ginestra, Ripolo, Pepella, Tintore e Aglianicone. In generale, la tradizione enologica della Campania è una storia di vitigni e varietà antiche dalla ricchezza sorprendente, che in parte è ancora oggi tutta da esplorare.
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